
Monaco di Baviera: Il festival del documentario del film di Monaco ha inaugurato mercoledì 7 maggio la 29esima edizione. Tra i film italiani selezionati c’è “Stelvio. Crocevia della pace”, del regista Alessandro Melazzini. Originario di Sondrio, risiede a Monaco da ormai quindici anni.
“Non è detto che un festival ti prenda perché hai una produzione in quella città,” ci spiega Alessandro, “anzi spesso si privilegiano film stranieri per dare un’aura internazionale, quindi il fatto di potere partecipare mi riempie di gioia ed è la possibilità di condividere con gli amici e le persone che conosco un’esperienza così carica di energia come la proiezione di un film a un festival.”
Non è un caso che Alessandro abbia scelto lo Stelvio come soggetto per il documentario. Provendo dalla Valtellina, al passo ha trascorso la sua adolescenza. “Da piccolo ci andavo a sciare d’estate. Al mattino ci si svegliava e ci si immergeva nella neve, si facevano conoscenze, c’erano persone da tutta Italia ed era un posto magico, fantastico, così vicino a casa eppure così diverso dal fondovalle. Venticinque anni dopo non ho più trovato la magia del bambino però è rimasta la magia di un luogo multiforme, che in una giornata passa dalla tempesta di neve al sole più splendente. Posso dire di conoscerlo meglio adesso, e di essere consapevole che c’è ancora moltissimo da raccontare su questo luogo.”

Da adolescente non aveva fatto caso alle trincee della Prima Guerra Mondiale che si trovano a poche decine di minuti a piedi dal passo e che oggi ha voluto documentare nel film. Il lavoro sul set è stato anche un’occasione per scoprire tante bellezze che si trovano a pochi passi dai soliti sentieri battuti dai turisti. “Uno dei protagonisti, l’inventore Pompa, pesca una trota in un lago alpino, poi le dà un bacio e la lascia di nuovo nuotare nell’acqua. Quel lago alpino è splendido e in linea d’aria è poco distante dallo Stelvio, ma si trova dall’altra parte della montagna per cui ci vuole molto tempo per raggiungerlo. Non avrei mai pensato che esistesse, ne sono rimasto incantato. E poi sono rimasto stupito dalle persone incredibili che ho incontrato. Mario, il ricercatore di reperti bellici, lo conoscevo già da piccolo perché era il portiere dell’albergo in cui soggiornavo, ma all’epoca non sapevo di questo suo mondo segreto che portava con sé.”
La società di Alessandro Melazzini porta il nome di Alpenway, nel quale c’è racchiuso il suo intento sociale e artistico, ovvero quello di varcare i confini: dall’economia alla filosofia, dall’Italia alla Germania, dalla regia alla produzione. Anche allo Stelvio ha voluto varcare il confine. Un confine impalpabile ma che esiste: passa da un’Italia che parla italiano a un’Italia che parla tedesco, e inevitabilmente da una cultura a un’altra. “Mi sono reso conto che sebbene per me il passo dello Stelvio sia sempre stato valtellinese, per gli altoatesini è altoatesino. Dall’altra parte hanno l’idea che sia loro quanto noi da questa parte abbiamo l’idea che sia nostro. Quindi nel film mi è sembrato importantissimo dare un’idea di completezza e viaggiare fisicamente per mostrare entrambe le parti. Questo è stato molto apprezzato al Festival della Montagna di Trento dove pochi giorni fa ho celebrato la prima mondiale. Ovviamente nello spazio di settanta minuti del film, pur avendo cercato di rappresentare tante realtà ho potuto raccontarne solo alcune.”

Rispetto al primo documentario che l’ha reso conosciuto all’interno della comunità italiana in Germania, “Stelvio. Crocevia della pace” fa un salto di qualità enorme dal punto di vista tecnico e della produzione. Ne sono la prova evidente le impressionanti riprese aeree e la camera a livelli di grande cinema. “A volte avere più strumenti non significa raggiungere un fine migliore, io spero sia rimasta la stessa sensibilità dei miei documentari precedenti. Come per gli altri, sono innamorato di questo film che mi ha dato la possibilità di lavorare con professionisti come Alessandro Soetje, direttore della fotografia, che hanno innalzato notevolmente il livello di qualità.”
Alessandro Soetje sarà presente insieme ad altri componenti della troupe, alla premiere tedesca del 12 maggio all’ARRI Kino alle ore 19:30.
“Come direttore della fotografia, il mio ruolo è quello di primo spettatore, mentre il regista fa anche un lavoro autorale.” spiega Soetje, “L’importante è sapere cosa e come vuoi raccontare. È fondamentale prepararsi prima dell’inizio delle riprese e Alessandro Melazzini ha saputo creare un bello spirito di squadra, sia con la troupe che con i protagonisti del film.”
Soetje ha girato tutto il mondo ma al passo dello Stelvio non c’era mai stato. “La cosa che mi più mi ha impressionato allo Stelvio è stata l’imprevedibilità del tempo. Dal punto di vista di chi lavora con luce, non sapere mai che luce avrai non dico il giorno dopo, ma un minuto dopo è un problema enorme, un incubo. Però legato alla variabilità del tempo ho uno dei ricordi più belli: quando siamo andati a filmare Pompa che pesca le trote, subito dopo l’ultimo ciak è scoppiata una grandinata pazzesca. Eravamo circondati da questa natura potente e selvaggia. Abbiamo fatto una corsa giù per la montagna, ci siamo sparpagliati per raggiungere il primo cascinale. È stata una corsa liberatoria, meravigliosa.”