Augsburg. Il nostro primo incontro non ha avuto un buon preludio. Avevo preso appuntamento e ho annotato, per errore, sul mio calendario l’ora sbagliata rimanendo intesi che prima di andare avrei richiamato per avere conferma. Prima di andare ho chiamato e mi sono sentito rispondere che potevo pure non andare in quanto lei mi aspettava già da alcune ore, io ho chiesto scusa cercando di spiegare l’accaduto e lei mi disse che se fossi andato subito si poteva fare.

In 15 minuti ero sotto il suo portone. Ho fatto le rampe delle scale il più velocemente possibile e quando la porta si è aperta, mi si è presentata davanti una signora piccola e minuta dal sorriso accogliente e gentile e in modo risoluto mi dice chiaramente che se non fossi arrivato subito non avrei avuto altre opportunità.
Mi fa accomodare nel salottino e mi offre un caffè. Poi iniziamo.
Come è arrivata ad Augsburg?
Io non sono venuta direttamente ad Augsburg. Prima sono andata a Monaco dove ho studiato Storia antica e Pedagogia. Questa mia venuta in Germania non è stata presa di buon grado dalla mia famiglia.
Venire qui è stato vissuto dalla mia famiglia come un atto di ribellione. Mio padre siciliano di Catania non ha visto di buon grado il fatto che io lasciassi i miei studi in giurisprudenza a Roma per trasferirmi in Germania.
Una volta a Monaco ho fatto amicizie ed una mia amica mi ha prospettato la possibilità di avere un lavoro come interprete ad Augsburg e ci siamo trasferite e da allora sono rimasta qui.
Come si svolgeva il suo lavoro agli inizi?
All’inizio lavoravo per lo più per aziende tedesche e per i vari enti statali tedeschi, ma anche per avvocati per questioni legali e contrattuali. Poi sono arrivati in massa i Gastarbeiter e ho iniziato a fare da interprete anche ai privati.
Noi interpreti ci incontravamo da “Sommacal”, dove avevamo il nostro “tavolino”, un bar italiano in Maximilianstrasse in centro ad Augsburg. Il proprietario era il referente del Consolato italiano di Monaco ad Augsburg. Lui gestiva una “cassa” per conto del Consolato e la usava per aiutare la comunità italiana ed era il punto di riferimento per tutta la comunità ad Augsburg.
Con l’arrivo degli immigrati italiani ho iniziato, per lavoro, a frequentare anche il carcere dove ho vissuto situazioni umanamente toccanti. Più di un italiano si trovò a fare i conti con il sistema giudiziario tedesco, a volte solo per ignoranza.
Mi può raccontare qualche storia di italiani in carcere che l’ha colpita?
Preferisco non raccontarle sono cose che io ho appreso nella mia professione e ritengo che debbano rimanere nell’ambito in cui sono.
Che ricordi ha dei primi arrivi?
Mi ricordo che nella seconda metà degli anni ’50 fui contattata dal responsabile dell’azienda tessile Kattunfabrik (NAK) per una missione da fare in Italia al fine di reclutare manodopera per la fabbrica.
Andammo a Cutro in Calabria (leggi l’articolo correlato) e reclutammo la quasi totalità della gioventù del paese. Ecco qui ho ancora dei tessuti della fabbrica ormai chiusa, – Prende alcune stoffe e me li mette in una busta – queste gliele regalo.

Che cosa si ricorda di quegli italiani?
Gli italiani che arrivavano erano mossi dalla ricerca di un lavoro, di migliorare le proprie condizioni economiche e tutti sono arrivati con l’idea di ritornarsene in Italia non appena avessero raggiunto quel livello di risparmio che avesse consentito loro di poter vivere dignitosamente al proprio paese. Credo che il fatto che fossero convinti di ritornare in Italia li abbia convinti a partire.
Lei ha “assistito” la prima ondata degli immigrati italiani negli ultimi anni sta avvenendo una nuova massiccia ondata. Mi può fare un confronto tra le due?
La prima, come le dicevo, era mossa dalla voglia e dal desiderio di migliorare le proprie condizioni economiche per poi fare ritorno. Mentre questa è mossa oltre che dal desiderio di un lavoro, anche dal voler fuggire dall’Italia e dalla classe politica attuale e dalla mancanza di regole.
Ma la cosa grave è che stanno arrivando gli istruiti: diplomati e laureati. Il che è molto grave per l’Italia. Se vanno via le persone che danno vita allo sviluppo spirituale di una nazione che cosa resta in Italia? Niente.
Le dirò di più, molti pensionati che avevano fatto ritorno in Italia per godersi la pensione nel luogo in cui sono nati, stanno rientrando in Germania in quanto mortificati nei diritti fondamentali quali l’assistenza sanitaria.
Cosa apprezza in una persona?
Io vado molto a vibrazioni. In Africa ho sviluppato delle qualità extrasensoriali con le quali riesco a percepire le vibrazioni positive e negative che emanano le persone.
A volte mi è capitato di prevedere il futuro prossimo. Durante la seconda guerra mondiale mi è capitato di percepire il pericolo di una bomba e allora mi spostavo dal posto in cui mi trovavo e subito dopo in quel posto cadeva una bomba.
Cosa si ricorda della guerra? Ha avuto paura?
Io di guerre ne ho vissute due, una in Libia e l’altra, mentre ero a Padova, la seconda guerra mondiale.
Non ho avuto mai paura perché ero sicura che non mi sarebbe successo niente. La guerra mi ha dato l’opportunità di osservare le persone. Le persone non vanno giudicate per l’uniforme che indossano. Durante la guerra si spara all’uniforme dimenticandosi che sotto c’è un uomo.
In occasione di un nostro incontro la invito a mangiare qualcosa insieme in un ristorante italiano in centro, lei accetta volentieri.
Purtroppo quando la richiamo alcuni giorni dopo, che sarei passato a prenderla per andare a mangiare, mi risponde che non può in quanto le condizioni di salute non glielo consentono.
Un rimpianto della sua vita.
Io mi sento appagata della mia vita, ho fatto le cose che volevo, ho deciso io per la mia vita, ma se devo dire un rimpianto che ho è quella di non essere diventata una pianista.
Un desiderio che ho sempre avuto fin dai primi anni della mia vita. Mio padre, dato il suo lavoro di insegnante che lo portava a cambiare sede di continuo, non se l’è sentita di comprare un pianoforte ad una ragazzina di 7 anni per poi portarsi questo strumento musicale in giro per il deserto africano.
Ma quando siamo arrivati a Fiume (Rijeka) io ho iniziato a lavorare e nelle vicinanze c’era una maestra di musica e la prima cosa che ho fatto con i primi soldi è stata quella di andare ad imparare a suonare il pianoforte e così ho realizzato il sogno di imparare il pianoforte, ma non quello di diventare pianista in quanto ho le mani troppo piccole e non posso fare la quinta e quindi in ogni caso non sarei mai potuta diventare una pianista professionista.
Un fatto curioso della sua vita che lei ricorda volentieri.
Quando eravamo a Bengasi vivevamo vicino ad una famiglia ebrea. Il sabato gli ebrei non fanno niente e la famiglia chiese a mia madre se io ogni sabato potevo andare lì ad accendere la luce. Io andavo ad una determinata ora a compiere la missione e quando andavo trovavo tutta la famiglia riunita accendevo, salutavo e me ne ritornavo. È un fatto che da bambina ho vissuto con molta curiosità e che ogni tanto mi viene in mente.
Un fatto che non ricorda volentieri o che le ha dato molto fastidio.
Più che un fatto in sé per sé ricordo non molto volentieri il vento o meglio i venti. In Africa c’era il Ghibli caldo e pieno di sabbia e a Fiume la Bora. Ed io che sono piccolina li ho sofferti particolarmente.
Lei ha cambiato molti posti, qual è il posto che le è rimasto più attaccato?
Io ho lasciato il mio cuore a Fiume con i monti che scendono a picco sul mare
L’ultima volta che l’ho incontrata era metà aprile del 2017. La porta mi si è dischiusa su una signora ancora più piccola e minuta, ma con il sorriso sempre aperto. Mi fa accomodare in un’altra stanza.
“Ecco qui è dove lavoro. Non faccio entrare più nessuno qui perché non voglio che qualcuno si interessi a documenti riguardanti altri italiani”.
Le faccio notare che io sono un giornalista e che la curiosità fa parte del mestiere.
Mi risponde: “io l’ho osservata, cosa crede lei? ed ho capito che lei ha rispetto per la vita degli altri”
Se dovesse consigliarmi un libro che libro mi consiglierebbe?
Il dialogo di Socrate scritto da Platone. È un libro che mi ha insegnato a farmi le domande e la più importante è chi sono io?
Chi è Jole Renda?
Jole Renda è… è una risposta che non le so dare ancora.
Grazie signora Renda per il tempo che mi ha concesso.