In Agones. A partire dall’ultimo sciopero per il clima di Settembre, se ne sono lette e sentite tante e tali a proposito di Greta e Fridays for Future, che essi non necessitino di alcuna presentazione. Ovviamente, le opinioni espresse in proposito tendono come sempre a dividere la platea di opinionisti tra “apocalittici” e “integrati”, per rispolverare una felice formula di Umberto Eco… ma siccome tale formula capita a fagiolo come preludio alle nostre argomentazioni, nonché all’impostazione di questa rubrica in generale, voglio raccontarne la storia.

L’espressione “apocalittici e integrati” fu coniata dal semiologo italiano per definire l’assunzione di due opposti atteggiamenti nei confronti della cultura di massa: da una parte, quanti vi percepivano un lampante ed inequivocabile sintomo di decadenza; dall’altra, quanti invece ne fossero diventati gli apostoli e indefessi preconi. Anche in questo caso, notiamo il ripresentarsi del modello delle tifoseria da stadio in quello che, invece, dovrebbe essere il campo del pensiero. Di contro a questo modello, nel suo saggio Eco si sforzava di considerare il fenomeno della cultura di massa in modo più critico possibile. Ancora una volta: il pensiero è proprio la libertà di sottrarsi a una scelta prescritta dall’opinione ‒ e distinguo è l’operazione universale della sua logica, proprio come ebbe a dire Montaigne contro la prassi dell’argomentazione scolastica, articolata invece nei rigidi nego e concedo.
Detto questo, vorrei esprimere qualche considerazione a proposito di questo movimento per il clima.
La prima considerazione è questa: al di là di quelli che possono essere gli interessi e le strumentalizzazioni di cui è vittima, il movimento di Greta ci ricorda alcune cose che spesso tendiamo a dimenticare. Tra queste, una delle più importanti è il realizzare che le nostre azioni abbiano delle conseguenze, quindi che implichino delle responsabilità. Questo ha un valore etico, prima ancora che politico o scientifico. In un passaggio del suo libro Auschwitz, Agamben ricordava come, durante il processo di Gerusalemme, Eichmann ripetesse a più riprese di considerarsi “colpevole dinanzi a Dio, ma non dinanzi alla legge.” Non fu quella la prima volta (né certamente l’ultima) che una colpa o responsabilità morale venisse invocata per scampare a una responsabilità giuridica: che dunque venisse accettata una sorta di punizione morale/astratta che permetteva in qualche modo di sottrarsi a una punizione penale/concreta (sarebbe interessante considerare lo svolgersi della vita politica italiana secondo questo modello…).
Nessun dubbio che, tornando al nostro tema, per decenni e decenni abbiamo assunto soprattutto una responsabilità di tipo morale nei confronti della nostra azione sul pianeta, ma ci siamo sempre ben guardati da assumere una responsabilità giuridica. Questa considerazione può stroncare molte posizioni di giornalisti e opinionisti (magari presentati come filosofi) ultrasessantenni che si permettono critiche a troppo buon mercato. Se questo movimento per il clima, al di là di ogni interesse nascosto alle sue spalle, può riuscire a risvegliare in più persone possibili questo tipo di sensibilità e questo impegno ad assumersi delle responsabilità concrete (legate soprattutto alla modifica di quello stile di vita che, secondo la celebre frase impiegata da G.W. Bush per ritirarsi dal protocollo di Kyoto, “non è negoziabile”), ben venga.
D’altro canto, bisogna a mio avviso guardarsi dall’accordare una troppo entusiastica adesione a questo tipo di movimenti: e questo per il fatto che, come spesso avviene con un qualsiasi movimento di massa (con o senza stelle) nato e ingigantitosi in poco tempo, il rischio è quello che la “pancia” abbia ragione della “testa”.
Un atteggiamento così focoso e combattente è certamente utile in una prima fase di “attacco”, quando si sia in minoranza e si abbia bisogno di far sentire la propria voce; ma nel momento in cui tale parte dovesse divenire in qualche modo maggioritaria e raggiungere posizioni di effettiva responsabilità, quello stesso atteggiamento potrebbe tradursi in arroganza e incompetenza. Non vorremmo certo che tutto questo sacrosanto fervore si traduca nel successo ideologico del greenwashing, o peggio ancora… in questo senso, è più che salutare il domandarsi e l’analizzare quale tipi di interessi e calcoli politici possano nascondersi dietro la strumentalizzazione del “fenomeno Greta,” così da non lasciarsi abbindolare.
Un altro merito che va riconosciuto al recente movimento per il clima, è quello di porsi come globale.
In un passaggio delle sue Noterelle su Machiavelli, Gramsci identificava i “due punti fondamentali” dell’azione politica nella “[…] formazione di una volontà collettiva nazionale-popolare” e in una “riforma intellettuale e morale” (e dunque anche economica: riforma della disponibilità/spesa di denaro e dei consumi). Se il movimento per il clima sta riuscendo, più o meno, a creare una sorta di volontà collettiva globale (necessaria per affrontare problematiche che si presentano appunto a livello globale), resta da capire se pure riuscirà in una parallela riforma intellettuale e morale all’altezza di questi fenomeni. Perché ciò avvenga, sarà necessario che gli elementi più capaci vengano messi nella posizione di agire al massimo delle loro possibilità.
Vorrei concludere questo articolo con un’altra celebre citazione di Gramsci. Notate che, nella triade dei verbi proposti più in basso, quello di istruirsi sia il primo ad essere impiegato. In questo modo, Gramsci voleva forse dirci che l’intelligenza è il primo e più importante elemento dell’azione:
Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza.
P.S.: Ragionando candidamente, si penserebbe che una questione di interesse globale come quella climatica debba implicare un consenso globale. Così non è. Quello che vediamo, al contrario, è che la Natura non solo non è in grado di unire, ma è anzi divenuta una dei nuovi grandi temi teologici a priori su cui impostare qualsiasi posizione politica (l’ultimo caso e il più lampante, è certamente quello di Trump). Per far fronte a questo “disaccordo planetario” e orientarsi nel mezzo di opinioni tanto contrastanti, occorre a mio avviso applicare il più possibile quel processo che il filosofo francese B. Latour definisce come mettre en bulle, ovvero “inserire nelle nuvolette” (quelle dei fumetti, che contengono le parole dei personaggi).
Questo “inserire nelle nuvolette” significa farla finita con quegli énoncés flottantes, con quegli “enunciati galleggianti” che appunto fluttuano su social, media e discorso pubblico a proposito di tematiche quali quelle ambientali. “Inserire nelle nuvolette” significa riconsegnare un enunciato alla sua origine: capire chi l’ha detto, in quale contesto, chi sia questa persona, quali interessi abbia (o rappresenti) e così via ‒ e insomma se a parlare sia Paperoga, Archimede o Rockerduck… e questo perché la corruzione non è un fenomeno che riguardi solo politica, appalti e concorsi pubblici, ma anche il mondo scientifico.
Inserire nelle nuvolette e ragionare ‒ un ottimo punto di partenza.
Pasquino sul campo