
Dachau – Domenica 2 novembre qualcuno ha rubato una porta del campo di concentramento di Dachau, con la celebre e macabra scritta “Arbeit macht frei“, il lavoro rende liberi. La denuncia è avvenuta nella stessa giornata da parte del personale di sicurezza del luogo della memoria.
La porta in ferro battuto con l’iscrizione nazista misura appena due metri e fa parte di una cancellata molto più grande che si trova nelle vicinanze dell’ingresso principale.
I responsabili del furto devono avere utilizzato un veicolo per trasportare la porta, ma una tempestiva ricerca in tutta l’area circostante non ha prodotto risultati.
La polizia non vuole ancora pronunciarsi sull’accaduto e non è ancora chiaro se si tratti di neonazisti o di collezionisti senza scrupolo né coscienza. Il commissariato della polizia criminale di Fürstenfeldbrück mette a disposizione il numero: 08141 / 612 0 per chiunque avesse informazioni utili.
La direttrice del memoriale Gabriele Hammermann, il sopravvissuto (e presidente dell’associazione Lagergemeinschaft Dachau) Max Mannheimer, e il direttore della fondazione dei memoriali bavaresi Karl Freller si dichiarano profondamente indignati per un gesto così vile.
Il campo di concentramento non è videosorvegliato, ma un corpo di guardia è attivo 24 ore su 24. D’altro canto il campo è talmente esteso che i ladri possono avere agito indisturbati durante il giro d’ispezione del personale.
Finora non era mai accaduto un fatto del genere a Dachau. Ma l’episodio ricorda molto il furto avvenuto circa cinque anni fa ad Auschwitz, in Polonia. Anche in quel caso venne rubata la macabra insegna “Arbeit macht frei“. La scritta fu ritrovata spezzata in più parti e seppellita in un bosco. Il fatto aveva destato scalpore in tutta Europa. Furono fermati un uomo svedese vicino a movimenti neonazisti, e due polacchi.
Il campo di concentramento di Dachau è stato inaugurato nel 1933 ma la porta con l’insegna, diventata simbolo dell’orrore dell’Olocausto, è comparsa per la prima volta nel 1936. Ogni giorno migliaia di prigionieri varcavano quella soglia salutati dalla frase più rappresentativa dell’ipocrisia della dittatura nazista. Nei dodici anni di attività del campo di Dachau persero la vita circa 41.500 persone.