Thomas Bartu: romeno, tedesco anzi no italiano

Thomas Bartu
Thomas Bartu

Monaco: sulla via di casa, tornando da scuola, tanti ragazzini e mamme che li sono andati a prendere si fermano in gelateria per regalarsi un momento gustoso in questa giornata invernale piena di sole. Nello stesso modo molti di noi si sono innamorati per la prima volta del gelato e così è proprio iniziata la passione di Thomas Bartu, gestore della gelateria nella Wilhelmstraße 23 e fondatore dei negozi di scarpe „Bartu“ di Monaco.

Il rapporto di Bartu con l’Italia, la sua lingua e la sua tradizione culinaria nasce però ben prima dell’apertura della gelateria: di origine rumena, si trasferisce a Monaco nel cuore di Schwabing all’età di 4 anni e si concentra da subito a imparare la lingua tedesca con la quale oggi si destreggia magistralmente, esprimendosi anzi con un dolce accento monacense. All’età di 10 anni viene mandato in collegio in Svizzera e qui incontra per la prima volta la lingua italiana che alcuni suoi compagni di studio parlano.

Inizia qui ad apprezzare le somiglianze con il rumeno e sviluppa ulteriormente le sue capacità linguistiche a 16 anni, quando „ha avuto il privilegio di  accompagnare suo padre – che aveva un negozio di calzature – in Italia per frequentare fiere dell’abbigliamento e fabbriche di scarpe“. Durante questi viaggi estivi inizia a conoscere gli imprenditori italiani personalmente, cosa che lo aiuterà poi negli anni ’70 e ’80 a fondare il proprio impero delle calzature a Monaco. In questi viaggi però – ci racconta – ha sviluppato soprattutto una grande affinità per l’Italia, imparandone ad apprezzare le tradizioni e convenzioni sociali, come quella di invitare a pranzo ospiti e persone in affari con le aziende.

Thomas Bartu con collaboratore
Thomas Bartu con collaboratore

Nel 1988 vende i suoi negozi di scarpe col caratteristico logo colorato alla catena tedesca „Tretter“ per dedicare più tempo alla famiglia. La sua vitalità e passione per l’avventura lo conducono però quasi subito a intraprendere un nuovo progetto: aprire una gelateria nella sua amata Schwabing che regali ai ragazzini passanti gli stessi piccoli momenti di felicità che lui provava da bambino quando mangiava il gelato lungo l’Isar. Quei momenti sono all’origine della sua passione e della sua idea imprenditoriale: „gustando quel gelato – ci dice – ha imparato per la prima volta ad apprezzare la differenza tra gelati confezionati e prodotti su larga scala e quelli prodotti artigianalmente“.

All’inizio di tutto c’è insomma l’esperienza personale: „il gelato deve piacermi. Quando ho iniziato a produrlo e non sapevo come si faceva sono partito da questo: dalla ricerca e dalla sperimentazione per raggiungere un buon sapore. Io devo poter sostenere pienamente ogni qualità di gelato che propongo ai clienti. Certo oggi c’è una diversità culturale e di gusti molto ampia e il mio prodotto non potrà piacere a tutti, la maggiorparte di amici e clienti mi sembra però che condivida i miei gusti“.

Gli chiediamo quindi cosa rende il suo prodotto così particolare, cosa lo distingue da altri gelati e ci risponde che innanzitutto la trasparenza e il rapporto di fiducia col cliente sono alla base della sua professione: „Il buon gelataio deve dire ai clienti con quali ingredienti è fatto il proprio prodotto“. E così sin dal giorno dell’apertura sono stati appesi alle pareti questi cartoncini colorati che sono tutt’altro che decorativi: contengono la lista degli ingredienti per ogni gusto offerto in vetrina.

Thomas Bartu
Thomas Bartu

Ci svela poi – con gli occhi luccicanti di chi ama il proprio lavoro – anche altri concetti sui quali il suo gelato si fonda: „il gelato è un prodotto mondiale. Certo alcuni ingredienti base come pistacchi e nocciole vengono dall’Italia, ma noi acquistiamo anche il mango dall’India, la maracuja dall’America Latina, e soprattutto ci lasciamo ispirare da diverse tradizioni gelataie“. Ci fa assaggiare quindi il suo gusto al caramello, incontrato per la prima volta a Parigi, per darne una dimostrazione. Un’esperienza strana per un’italiana. Allo stesso tempo dolce e salato, in breve: puro caramello. A questa avventura culinaria si aggiungono poi la „american cheesecake“ e un ritorno alla tradizione con un verde pistacchio.

Questi gelati non si possono chiamare veri e propri „gelati“ – ci spiega – andrebbero chiamati semplicemente „Eis“, non sono infatti altrettanto dolci come nella tradizione italiana e cercano di basarsi su prodotti biologici e locali, come l’acqua e il latte a chilometro zero. È insomma un gelato mondiale e monacense allo stesso tempo.

Lo stesso misto di rispetto della tradizione e ricerca di un proprio standard di qualità è alla base della sua pizza: nella foto che ci tiene a fare con il suo pizzaiolo si riflette la sua passione per un’attività di gruppo, per il contatto con le persone e per il suo profondo rispetto per un lavoro fatto bene. L’idea della pizzeria in parallelo alla gelateria nasce infatti per rimanere aperti anche d’inverno e compensare il fatto che il gelato non viene comprato in questa stagione. „Ho dei collaboratori molto qualificati, e non li posso congedare d’inverno“, ci spiega parlandone. Anche la pizza è fatta con ingredienti biologici, è sottile e impastata con la farina di farro anzichè con quella di grano.

Concludiamo la nostra conversazione con un buon espresso. Thomas Bartu ci dice che il caffè è per lui il simbolo dell’italianità e l’ha assimilato molto volentieri nella sua lunga relazione col nostro paese: la pausa caffè scandisce la giornata di lavoro e infonde un certo tono di colloquialità e buon umore, proprio come il suo „München-Eis“.