Gastronomia italiana in Germania: Trattoria Alba

Trattoria Alba: esterno
Trattoria Alba: esterno

Continua la nostra indagine sulla gastronomia italiana in Germania. Questa volta abbiamo incontrato Pippo Culoso, proprietario del ristorante “Trattoria Alba” nel quartiere di Bogenhausen a Monaco, anch’egli considerato tra i migliori cinquanta ristoranti italiani in Germania dalla rivista Feinschmecker.

Arriviamo con qualche minuto di anticipo, entriamo e chiediamo del proprietario. “Sta arrivando”, ci conferma un cameriere. Ne approfittiamo per fare qualche foto. Il ristorante non ha un sito web, si trova nella Oberföhringer Straße 44, una tranquilla strada alberata di Bogenhausen, e dall’esterno appare come una graziosa villetta gialla poco appariscente. All’interno i pomodori di Pachino Costoluti adagiati in un cesto posto all’entrata danno il benvenuto agli ospiti con il loro colore e profumo fatto di sole, argilla e salinità.

Trattoria Alba: cesto di pomodori pachino posti all'entrata
Trattoria Alba: cesto di pomodori pachino costulati posti all’entrata

Pochi minuti dopo, come preannunciato, il signor Pippo Culoso fa il suo ingresso in sala.

A settantasei anni portati con grande stile, non è uno di quei personaggi che ha bisogno di apparire. Originario di Taormina, è a Monaco dall’inizio degli Anni Settanta.

Ci fa accomodare a un tavolo vicino alla cucina, ci offre un caffè, ha un modo di fare diretto e si capisce che vuole “arrivare subito al sodo”, non si toglie neanche il giubbino. “Ho disdetto varie interviste ultimamente” dice, per rimarcare che il tempo è sempre poco. In realtà, di tempo ce ne concede molto e trascorriamo una piacevolissima ora insieme.

Cerchiamo di entrare in sintonia facendogli i complimenti per i riconoscimenti ottenuti, ma lui fa spallucce e se ci siamo chiesti perché non avesse un sito web lo capiamo subito.
È una persona che fa della tradizione il suo cruccio, “La cucina è il mio sito web”.

Trattoria Alba: Pippo Culoso
Trattoria Alba: Pippo Culoso

I suoi clienti sono quasi tutti fissi, perché la cucina tradizionale che offre non ha bisogno di pubblicità: chi la prova ci torna. Per questo motivo i riconoscimenti e le stelle Michelin non sono per lui fondamentali: “Quello che conta” dice “è il rispetto delle regole della gastronomia italiana”, valore che a suo parere si sta sempre più perdendo. “Se un cliente viene da me e chiede degli spaghetti all’amatriciana perché li ha assaggiati a Roma, io devo fargli un’amatriciana come trova in Italia, non un’amatriciana fatta a modo mio. So che ci sono tanti ristoranti italiani, anche di altissima qualità, che si cimentano in una cucina creativa, ma io continuo a credere nella cucina tradizionale.”

Prima ancora di fargli la prima domanda, inizia a raccontarci fatti e aneddoti della sua vita e ci accorgiamo presto di avere a che fare con un personaggio storico per la gastronomia italiana a Monaco e in Germania.

Apprendiamo che ha contribuito a esportare alcuni prodotti tipici italiani in Baviera, come l’aceto balsamico tradizionale di Modena e l’Aperol. È stato uno dei primi a portare alcune casse di prosecco in Germania e non avendo la soda per lo spritz fu uno dei primi, se non il primo, a usare il prosecco per dare il brio delle bollicine. “Se avessi preso l’esclusiva dell’Aperol Spritz ora sarei ricco sfondato” ammette scherzando.
Non solo prodotti ma anche pietanze come gli spaghetti neri e la tartara di tonno hanno deliziato i palati tedeschi grazie a lui.

Salta da una storia a un’altra, da un luogo a un altro, da un’epoca a un’altra e noi restiamo ad ascoltarlo e a lasciarci trasportare. “All’inizio degli Anni Ottanta abbiamo fondato a Roma l’associazione ONLUS “Ciao Italia” per fare rispettare il marchio della cucina italiana – Spiega al Sole Italiano -, ma chi è che lo fa rispettare oggi? In pochi. Oggi la cucina italiana la può fare chiunque e anche tra gli italiani di professionisti ce ne sono pochi.

E la colpa è di noi italiani che non teniamo più alla professionalità di una volta. Però negli anni abbiamo raggiunto anche tante conquiste: per esempio adesso il cliente discute con il cameriere su cosa vuole mangiare, su cosa non può mangiare, s’informa sull’origine dei prodotti, si lascia consigliare sui vini. Una volta invece il cliente non si fermava mai a chiedere.

Ma abbiamo ancora un paio di punti da migliorare. Per prima cosa il tedesco reclama troppo poco. Se un cliente mi dice: “Pippo, l’espresso non è buono“ allora io

Trattoria Alba: momenti dell'intervista
Trattoria Alba: momenti dell’intervista

mi devo ingegnare per capire cosa ho fatto di sbagliato e migliorarmi, ma se non lo so, non posso andargli incontro. L’altro giorno una signora ha cosparso di sale il suo piatto di tagliatelle pensando che fosse parmigiano grattugiato. Soltanto parlando con gli amici che avevano preso il suo stesso piatto si è resa conto dell’errore. Ma se non se ne fosse accorta, avrebbe pensato che qui da noi la cucina è troppo salata e non avrebbe mai consigliato il nostro locale ad altri. Per questo è sempre importante consultarsi con i camerieri o con il cuoco.

Un altro punto per me importante è l’attesa: sin da quando ho aperto il mio primo ristorante qui, nel 1974, che si chiamava “Da Pippo“, chi viene da me deve aspettare, anche se ci sono soltanto tre persone sedute ai tavoli. Il motivo è semplice: non deve essere la pietanza ad aspettare il cliente, ma deve essere il cliente ad aspettare la pietanza. Il cliente paga tanti soldi e allora il piatto deve essere preparato con i prodotti freschi che ha pagato. Qui gli spaghetti appena bolliti, passati sotto l’acqua fredda e ricoperti di salsa all’ultimo minuto non esistono. “

È un fiume in piena, Pippo Culoso, e noi non siamo interlocutori ma spettatori. U santu è di marmuru e nun sura, il santo è di marmo e non suda, come si dice al sud.

Trattoria Alba: momenti dell'intervista
Trattoria Alba: momenti dell’intervista

Ma siamo anche qui per fare alcune domande sulla salute e sul futuro della gastronomia italiana quale prospettiva lavorativa dei giovani di oggi. Cerchiamo di fare una domanda che ci faccia da traino per parlare dei giovani.

Lei ha figli? Chiediamo. Ed è solo qui, in questo breve attimo, che percepiamo in lui un piccolo cedimento. Si stacca con le spalle dal muro, appoggia le braccia sul tavolo e si protende verso di noi. Tiene gli occhi fissi sulle mani, inspira forte tanto da inalare il profumo dei pomodori esposti all’entrata, il profumo delle sue radici, della sua Sicilia e dell’importanza di un figlio. “No, non ho avuto la fortuna di avere un figlio”.

Il tono non è lo stesso di prima, ma la ripresa è immediata: “Se avessi un figlio non gli consiglierei la gastronomia, perché è molto sacrificata”, aggiunge.
Cogliamo quest’ultima affermazione per chiedergli cosa ne pensa degli italiani che arrivano qui per lavorare in questo settore senza avere esperienze.

“C’è molta gente improvvisata e poca gente qualificata, sia a livello di personale che di cuochi. Noto che non ci sono più ragazzi che hanno voglia di sacrificarsi. Spesso non hanno voglia di cominciare alla mattina alle dieci e finire alle undici di sera sei giorni a settimana. Preferiscono guadagnare un po’ di meno ma essere liberi alla sera.  La vera gastronomia la fa soltanto chi ama la gastronomia.”

di Simona Morani e Natale Francesco